Cosa succede quando l’eternità dei versi di Shakespeare incontra il dialetto napoletano?
Nasce “L’ammore nun’è ammore”, un atto teatrale di passione, un recital che si trasforma in un’operazione culturale e linguistica che sorprende per autenticità e forza emotiva.
Protagonista dello spettacolo, in scena al teatro Sannazaro di Napoli, è Lino Musella, qui straordinariamente a proprio agio in una dimensione raccolta, poetica, profondamente intima.
Il titolo, L’ammore nun’è ammore”, è un gioco linguistico e concettuale: riprende l’incipit del celebre Sonetto 116 di Shakespeare, ma lo rovescia in una dichiarazione paradossale.
In napoletano, “nun’è ammore” può essere inteso sia come negazione che come affermazione più radicale della natura dell’amore.
Lo spettacolo prende le mosse dalla traduzione – o meglio, dal “tradimento”, come amava definirlo lui stesso – che il poeta napoletano Dario Jacobelli ha compiuto su una trentina dei Sonetti shakespeariani.
Un lavoro appassionato, personale, del tutto libero dalle costrizioni editoriali.
Con questa libertà i Sonetti, trasposti in napoletano, acquistano nuova linfa, si caricano di una musicalità antica e insieme sorprendentemente attuale, si spogliano del rigore accademico per farsi canto, preghiera, confessione.
Il dialetto napoletano non è, in questo spettacolo, una semplice scelta stilistica o localistica.
È piuttosto una lingua viscerale, capace di portare i sentimenti alle estreme conseguenze.
Shakespeare, tradotto in napoletano, smette di essere “classico” per diventare “popolare” nel senso più nobile del termine: parola che appartiene a tutti, che parla al cuore e alla memoria collettiva.
Lino Musella interpreta questi testi con un’intensità disarmante. Non si limita a recitarli: li abita, li incarna.
La sua voce si fa strumento narrativo sempre profondamente connessa al sentimento espresso dalle parole. Il dialetto napoletano si rivela veicolo perfetto per esprimere le sfumature emotive dei Sonetti.
Musella lo maneggia con grazia e forza.
L’effetto sul pubblico è potente: lo spettatore si ritrova coinvolto in un rito collettivo, dove la poesia diventa voce di tutti.
Accanto a Musella, il musicista Marco Vidino costruisce un paesaggio sonoro raffinato e avvolgente.
Le sue musiche, eseguite dal vivo con strumenti a corda e percussioni, non accompagnano semplicemente la voce dell’attore: la amplificano, la incorniciano, talvolta la sospingono, talvolta la contrastano, in un dialogo continuo tra parola e suono.
Ne nasce un’atmosfera magnetica, sospesa, che restituisce pienamente la densità emotiva e la profondità intellettuale del testo.
Ciò che colpisce di più, in definitiva, è la straordinaria naturalezza con cui Shakespeare si lascia “napoletanizzare” senza perdere nulla della sua grandezza.
Anzi, in questo dialetto denso, sensuale e feroce, i suoi versi sembrano acquisire un’urgenza rinnovata, una concretezza carnale che li rende ancora più universali.
L’ammore nun’è ammore è teatro nella sua forma più pura, dove il gesto e la voce bastano a creare un mondo.
Musella ci accompagna in questo viaggio con la grazia dei grandi interpreti: non recita, condivide; non dimostra, si dona.
E alla fine, quando cala il silenzio, resta negli occhi e nelle orecchie la traccia di qualcosa di raro: un incontro vero tra arte, vita e poesia.