In scena, al Teatro Mercadante di Napoli, La Gatta sul Tetto che Scotta di Tennesse Williams nella nuova traduzione di Monica Capuani, con Valentina Picello, Fausto Cabra, Orietta Notari, Nicola Pannelli, Giuliana Vigogna, Giordano Agrusta, Riccardo Micheletti, Greta Petronillo, Nicolò Tomassini, per la regia di Leonardo Lidi; una co-produzione dei Teatri Stabili Nazionali di Torino e del Veneto (repliche fino a domenica 18).
Scritto e andato in scena a New York nel 1955, La Gatta sul Tetto che Scotta è uno dei lavori più dissacranti di Tennesse Williams, nonché una pietra miliare della drammaturgia novecentesca, tanto da valere all’autore il secondo Premio Pulitzer (il primo risale al ’48 per Un Tram Che Si Chiama Desiderio). Da questa pièce fu tratto l’omonimo film con Paul Newman e Liz Taylor, capolavoro della cinematografia mondiale, che tuttavia non fu apprezzato dall’autore il quale ritenne che gli Studios hollywoodiani avessero edulcorato non poco il dramma, ben più disturbante e dal linguaggio ben più esplicito nella sua forma teatrale. Esso racconta la storia una ricca famiglia del Sud degli Stati Uniti, i Pollitt, che vive una profonda crisi di fronte all’imminente morte del padre, Big Daddy. La famiglia si è riunita nell’immensa proprietà terriera di Big Daddy, ignaro malato terminale, per festeggiare il suo ultimo compleanno. Qui vengono in luce l’avidità e la debolezza dei figli, Gooper e Brick, e in particolare la situazione di quest’ultimo e di sua moglie Margaret. I due vivono un matrimonio senza intimità: Maggie è profondamente innamorata, ma Brick è distante, è da tempo un alcolizzato, e non la degna di considerazione. Gooper e Mae, interessati all’eredità di Big Daddy, cercano di approfittare della situazione. Durante un conflitto con Brick, Maggie gli rinfaccia la sua relazione equivoca col suo migliore amico defunto, Skipper, e gli dice di sentirsi come “una gatta su un tetto che scotta”, decisa a non cadere giù: ha, infatti, conquistato con fatica una posizione sociale e non vuole tornare nelle sofferenze della povertà. «Dopo Čechov, ― spiega Lidi, ― per il quale Williams aveva un vero culto, torno a Williams perché credo che sia l’autore più utile a comprendere l’importanza dell’analisi della società attraverso la lente famigliare. Williams utilizza il ridicolo per raccontare la tradizionale famiglia americana del Sud, la sua incapacità di avanzare, ferma in un ricordo, pronta a distruggere pulsioni sessuali “nocive” e a nascondere tutta la polvere della società occidentale sotto il tappeto. Questo testo ci può aiutare oggi a considerare quanto siano lontane dal progresso naturale le forzature della famiglia tradizionale e le esternazioni sull’assonanza donna/madre. La protagonista dovrà ingannare il sistema/casa fingendosi madre perché, altrimenti, non sarà considerata come donna. Quando ho letto sui giornali, pochi mesi fa, il ritornello della donna che deve sentirsi realizzata solo in quanto madre ho deciso di rispondere con questo spettacolo.»
Ipocrisia e sospetto sono gli agenti che stanno alla base delle relazioni tra i personaggi di questa disastrata famiglia e su cui Leonardo Lidi costruisce il suo spettacolo. In una casa dove gli interessi economici e la menzogna hanno preso il posto dell’amore e dell’accudimento disinteressati, le pareti sono spoglie, di marmo bianco, come indicano le scene di Nicolas Bovey; una casa fredda, non accogliente, in cui persino la presenza dei bambini ― che pur dovrebbero dare un tocco di allegria e vivacità ― viene mal tollerata dall’arido patriarca anziano e subita come un’onta da parte di chi (Margaret) figli non ne ha. Ne vien fuori un ritratto spietato dell’America perbenista degli anni Cinquanta che somiglia tanto ― ahimè ― alla nostra società odierna. Il ritmo dello spettacolo è ― com’è giusto che sia ― sincopato, veloce, spezzato, dipanandosi le scene tra il profluvio di parole dei bravissimi Valentina Picello (Margaret), Nicola Pannelli (Big Daddy) e Orietta Notari (Big Mommy) e lo struggente, addolorato, affannato Fausto Cabra (Brick). Giordano Agrusta e Giuliana Vigogna danno spessore ai loro Gooper e Mae. Completano il cast la bravissima Greta Petronillo nel ruolo della Bambina, il gustoso Nicolò Tomassini in quello del Reverendo e Riccardo Micheletti in quello di Skipper (nato da un’idea registica di Lidi) che si aggira come un fantasma per la scena, porgendo da bere a Brick (a sottolineare la sua ossessione per l’amico scomparso) e recante in mano un grosso specchio, dentro cui ogni personaggio può vedere messa a nudo la propria miseria.
Da vedere.