Sinceramente non ricordo di operazioni così solenni rivolte al grande Franco Califano. Il viaggio che da qualche anno sta portando avanti Giangilberto Monti è qualcosa di unico in molte delle sue parti. Canzone rivista e adattata al proprio modo di esistere e di pensare alla forma senza mai mancare di rispetto all’origine. E poi tutto questo che nasce per un Radiodramma andato in onda sulle frequenze della Radio Svizzera Italiana. E ancora: un libro scritto a quattro mani con il giornalista Vito Vita dal titolo “Franco Califano. Vita, successi, canzoni ed eccessi del «Prévert di Trastevere»” edito da Gremese Editore. Tutto questo oggi passa anche per la dimensione discografica tout court: 12 canzoni in ordine cronologico suonate da Marco Mistrangelo al basso, Alessio Pacifico alla batteria e Marco Brioschi alla tromba. Si intitola “Franco Califano, il Prévert di Trastevere” (quasi a riprendere il filo conduttore di tutto) ed è teatro e lirica e romanità, è una personale fotografia, un ritornare all’infanzia e quel modo fanciullesco dei processi imitativi. Ma con la maturità di Giangilberto Monti, un cantautore di lunghissimo corso che sa ben qual è il confine che divide se stessi dal resto del mondo. Osservatore di cronache artistiche, questo disco…
Un libro, un radiodramma e ora un disco. Pensi di aver indagato tutto o manca ancora qualcosa?
Sarebbe forse il caso di fare uno spettacolo, sulla falsariga di quello che avevo realizzato sul repertorio di Dario Fo o sul mondo degli chansonniers francesi. Lo spunto potrebbe essere lo speciale radiotv prodotto dalla RSI di Lugano… ma al momento non ho un organizzatore teatrale che si occupi della mia carriera artistica. Dicono che sono troppo “di nicchia”, ma intanto resisto…
Secondo te qual è l’aspetto di Califano che ha ottenuto meno luce di quanto avrebbe invece meritato?
Proprio l’aspetto poetico che ho cercato di evidenziare in questo CD, leggete ad esempio il testo di “Poeta saltimbanco”, emblematico delle sue vicende artistiche.
E ne hai dato luce in tutto questo viaggio? O comunque hai illuminato cose meno conosciute che magari hanno anche il potere di far rileggere la sua storia in altro modo?
Diciamo che ci ho provato, sicuramente più con il libro e il radiodramma, che esplorano aspetti meno noti della sua vita.
Pensi che dunque da oggi la tua musica risentirà di questo “incontro” da vicino con la canzone di Califano?
Per me è stato come riaccendere un faro sull’importanza di acccoppiare, in modalità “popolari”, aspetti della vita quotidiana e composizioni musicali spesso raffinate. Cantare alcune sue canzoni è stato molto difficile, almeno per me. Ho cercato ogni volta una chiave di spontaneità, dando estrema importanza al testo.
Oggi parliamo spesso di ricerca. Secondo te, riportandoci sulla musica di Califano? Esiste anche questa dimensione?
È esattamente quello che ho tentato in questo lavoro, non è stato facile sceglierne solo dodici, ce ne sono almeno altrettante ugualmente meritevoli.
Del tempo in cui hanno vissuto queste canzoni, cosa salveresti e cosa riporteresti in vita?
Il Califfo abita gli anni migliori della nostra discografia, quando tutto era in qualche modo permesso, compreso il fatto di sbagliare, correggersi, sbagliare di nuovo e riprovarci ancora. Pensate che quest’uomo, all’epoca, non aveva alcuna chance di farsi spazio nel mondo dei cantanti e/o degli interpreti: aveva una tessitura musicale limitata, una sola tonsilla, i polmoni rovinati dal fumo e i neuroni annebbiati dalla cocaina. Eppure sul palco trasmise fino all’ultimo grandi emozioni. Poi uno potrà giudicare o sentenziare che non la pensasse secondo le mode del tempo o vivesse troppo al limite, ma spesso chi afferma questo è solo invidioso, o peggio, avrebbe tanto voluto avere il suo successo… il mondo della musica del Novecento è pieno di critici che non sanno nemmeno cosa significhi salire su un palco, o di artisti rancorosi, ma questa è solo l’opinione di un vecchio ragazzo di periferia, cresciuto nel secolo scorso…