É in tutte le librerie il nuovo romanzo di Roberta Recchia dal titolo Io che ti ho voluto così bene, Ed. Rizzoli, Collana La scala, pag. 352.
Dopo il grande successo di pubblico e critica del suo esordio con Tutta la vita che resta, la scrittrice romana, classe 1972, ci propone un romanzo di formazione che vede protagonista Luca, un ragazzino di appena 14 anni dalla spiccata sensibilità. Con i genitori e il fratello maggiore vive in una città di mare che richiama turisti durante la stagione estiva. Luca incontra una ragazza che per la prima volta gli fa battere il cuore ma quando lei scompare in circostanze misteriose e i carabinieri iniziano ad indagare, i suoi genitori lo spediscono a Bergamo a casa degli zii Umberto e Mara. Con la sua scrittura delicata e profonda Roberta Recchia ci parla dell’adolescenza e del potere salvifico del perdono attraverso una storia che attira il lettore sin dalle prime pagine confermando la sua bravura.
Noi di Mydreams abbiamo partecipato via streaming ad un incontro con la scrittrice organizzato dalle librerie UBIK per Connessioni. Molte le domande rivolte a Roberta Recchia.
Luca è un preadolescente con una grande sensibilità che lo rende diverso dai suoi coetanei. Quando hai sentito prepotente il bisogno di renderlo protagonista in un romanzo e quali sono le sue altre caratteristiche?
Luca era già comparso qualche anno fa, prima di scrivere Tutta la vita che resta. Lo avevo messo in un angolino e mi sono dedicata ad altre cose e ad altre storie. Luca mi ha aspettato pazientemente e ora è lui stesso a raccontarsi ai lettori. Questo ragazzino ha la fortuna di avere alle spalle una famiglia solida e felice ma un segreto terribile compromette tutti gli equilibri. Viene portato in un luogo lontano e in un contesto diverso e poco accogliente a parte gli zii e le cugine. Sicuramente la lontananza dalla sua città non lo protegge ed anzi accelera una sorta di effetto domino. Luca paga il prezzo più alto non avendo gli strumenti per difendersi. Deve inventarsi una nuova identità e non ha più fiducia in nessuno. Tuttavia noi lo vediamo crescere e confrontarsi con questa colpa. Ne uscirà vittorioso mantenendo la sua innocenza.
Perché hai scelto la città di Bergamo?
Quando ho scritto il romanzo non conoscevo la città di Bergamo se non attraverso Luca che me l’aveva raccontata bene. Se ci pensiamo è funzionale alle sue emozioni con paesaggi sconfinati e le mura che rappresentano una forte limitazione e in un certo senso circoscrivono i suoi pensieri.
Il sentimento che prevale nel romanzo è quello del perdono. Si può perdonare?
Sì, il perdono è la chiave del romanzo e mi sono chiesta: fino a che punto amare significa perdonare? L’ amore non ci protegge dagli errori. I personaggi fanno scelte diverse in merito a questo interrogativo. C’è chi si chiude a riccio e ha paura di avere un qualsiasi contatto, altri ci riescono e si comportano di conseguenza, altri ancora si fermano in una via di mezzo incapaci sia di odiare che di amare fino in fondo. Ma tutti i personaggi devono fare i conti con il perdono.
Nel romanzo è molto presente il tema della maternità. Ce ne puoi parlare?
Tre donne vivono la maternità in modo diverso ed accompagnano Luca. La prima è sua madre Lilia che lo allontana da sé per proteggerlo consapevole di non potergli dare nulla perché svuotata nel suo ruolo e nella sua identità. La seconda è zia Mara diffidente davanti alle atrocità. E’ una madre protettiva con due figlie adolescenti che si preoccupa che possano sviluppare comportamenti deviati. L’ultima è nonna Caterina, una nonna-chioccia che ama profondamente Luca e continua a vigilare sulla sua famiglia.
I personaggi maschili più sfaccettati del romanzo sono zio Umberto e Padre Lodoli, due facce della stessa medaglia. Puoi descriverceli un po’ meglio?
Zio Umberto è ateo ed è l’ancora di salvezza di Luca. Padre Lodoli si schiera per la giustizia animato dalla fede. Ma entrambi i personaggi si rifugiano nel perdono indipendentemente dalle credenze religiose o meno. In un momento storico in cui notiamo soltanto maschi tossici ho voluto proporre le figure di uomini che fanno cose belle, uomini positivi e con un forte senso della giustizia. Zio Umberto è poi la personificazione della pietas.
Alla base dei tuoi romanzi c’è sempre un’emozione o un conflitto che continui con insistenza ad esplorare?
Sono sempre interessata alla famiglia e alle figure genitoriali. Questo è un romanzo che cerca di approfondire il rapporto genitori-figli. É sempre più difficile conoscere a fondo i ragazzi e dobbiamo cancellare che certe cose appartengano soltanto alle famiglie che definiamo disfunzionali.
Quanto tempo ti è servito per scrivere questo romanzo e quali le fasi della scrittura?
Ho impiegato 5 mesi. Parto quasi sempre dal titolo e poi le idee vengono man mano. Ascolto quelle che mi suggeriscono i vari personaggi e cerco di trovare gli strumenti linguistici adatti per esprimerle a me stessa e ai lettori.