Questa volta vogliamo sottoporre alla vostra attenzione “Queer” di Luca Guadagnino con Daniel Craig, Drew Starkey, Jason Schwartzman, Lesley Manville, Henry Zaga.
Il film è stato presentato in concorso all‘ottantunesima edizione della Mostra del Cinema di Venezia ed è stato girato a Roma, negli studi di Cinecittà con cura artigianale. Da subito si è guadagnato l’aggettivo divisivo provocando riflessioni e discussioni tra gli addetti ai lavori per la complessità dei numerosi significati simbolici che possono essergli attribuiti e tra gli spettatori spiazzati dalla difficoltà oggettiva di comprendere appieno le scelte stilistiche di un regista come Guadagnino profondo, elegante ed eclettico. Il film, basato sul romanzo omonimo di William Seward Burroughs (1914-1997) scritto tra il 1951 e il 1953, fu pubblicato soltanto nel 1985 e come tutta l’opera dello scrittore americano, anche Queer è autobiografico.
William Lee (Daniel Craig) alcolizzato, drogato e gay si aggira per le strade assolate di Città del Messico come un predatore alla ricerca di incontri fatti di sesso e bevute che per la verità non scarseggiano sebbene lui abbia un aspetto poco invitante (Se pensate di ritrovare il Craig fascinoso alla James Bond, vi sbagliate di grosso). I suoi abiti di lino spiegazzati e il suo cappello trasudano sudore e usura. É un relitto umano divorato dal desiderio che va oltre la materialità dei corpi. Ma ecco che entra nel suo mondo solitario e affastellato da presenze ambigue e mercenarie, Eugene Allerton (Drew Starkey) l’Angelo Azzurro,il ragazzo tutto muscoli e noia del quale Lee non può più farne a meno. Inizia così il suo calvario reso sullo schermo da sguardi e silenzi, desiderio e carezze. I due partono per un viaggio in Sud America alla ricerca dello yage , una pianta da cui si credeva potesse essere estratta una sostanza in grado di controllare le menti altrui. Con l’aiuto della dottoressa Cotter (Lesley Manville) provano gli effetti di tale pianta sperimentando una serie di allucinazioni in cui dapprima vomitano i loro cuori pulsanti e poi si fondono l’uno all’altro. Durante il viaggio di ritorno William ed Eugene si separano. Due anni dopo Lee torna a Città del Messico e chiede al suo unico amico Joe (Jason Schwartzman) notizie di Eugene e questi gli dice che è partito mesi prima con un colonnello americano. Lee cerca di rassegnarsi alla sua perdita e in uno dei suoi sogni ricco di simbolismi ed allegorie, rivede il ragazzo proprio nella stessa camera dello squallido hotel dove consumava i suoi incontri. Il ragazzo si pone sul capo un bicchiere di cognac ed invita Lee a sparargli ma anziché colpire il bersaglio, Lee lo uccide. (Questa scena non è presente nel libro ma è un diretto riferimento del regista alla biografia di Burroughs e alla tragica morte della moglie Joan Vollmer uccisa dallo scrittore). Passano gli anni e Lee è ormai vecchio, solo e malato. Eugene Allerton ancora giovane lo abbraccia avendo in eredità il suo ultimo respiro.
Luca Guadagnino è riuscito a realizzare un capolavoro partendo da un romanzo breve ed incompiuto, osceno e disturbante per molti. Queer possiede una fascinazione che si concentra soprattutto nella recitazione degli attori, primo fra tutti Daniel Craig, che riescono a modulare con grande maestria le ragioni di un viaggio dentro il desiderio che diventa ossessione e nell’angoscia che scaturisce dalla relazione con gli altri. Ma un film diventa capolavoro quando accanto al regista ci sono i suoi collaboratori abituali e fidati a partire dalla sceneggiatura scritta assieme a Justin Kuritzes (Challengers 2024), all’ottima fotografia di Sayombhu Mukdeeprom (Chiamami col tuo nome 2017- Suspiria 2018-The Staggering Girl 2018- Challengers 2024) che ricorre ad un ripetuto congegno visivo di sovrapposizioni delle immagini che sfumano lentamente, al montaggio di Marco Costa (Bones and All 2022- Challengers 2024), alle musiche dei Nirvana e dei Verdena con la suggestiva colonna sonora di Trent Reznor e Atticus Ross.
Queer è un film da vedere essendo l’espressione forse più matura e completa di Luca Guadagnino che non a caso è uno dei pochi registi italiani ad essere molto noto negli USA.