
ph Antonio Esposito – Antepic
Ieri sera al Teatro Bellini una porta invisibile separava la realtà dall’incanto, ed è bastato varcarla per ritrovarsi dentro un camerino: non uno qualunque, ma quello di Ermal Meta, che ci ha accolti con il cuore aperto, insieme al pianista straordinario Davide Antonio Pio, in un’atmosfera così intima da sembrare famigliare.
Non era un concerto. Era un racconto, un viaggio, uno spettacolo teatrale cucito a mano con la stoffa delle emozioni. Il nuovo tour di Ermal non si limita a suonare le sue canzoni: le interpreta, le veste di nuovi significati, le accompagna a storie, gag, sorrisi e piccoli segreti, come se ogni spettatore fosse seduto lì, sul divano del suo camerino, tra specchi, valigie e strumenti sparsi qua e là.
Davide Antonio Pio ha aperto la serata con un toccante inno al teatro e al Bellini, dando subito il tono di quello che sarebbe stato molto più di un live. Poi Ermal è entrato, e con la sua voce – calda, a tratti roca, sempre profondamente umana – ha dato il via a un cammino tra musica, poesia e verità.
La scaletta, ricchissima e sorprendente, ha intrecciato 20 brani in un continuo alternarsi di intensità e leggerezza. Da Un pezzo di cielo in più a Piccola anima, da Ragazza paradiso fino a Un milione di cose da dirti, ogni pezzo è stato preceduto da un’introduzione teatrale, un piccolo quadro emozionale che ha aggiunto luce e senso alle note. E tra un pezzo e l’altro, le battute leggere sul Napoli, i racconti di tour passati, le riflessioni mai scontate su ciò che conta davvero nella vita.
È il pubblico ad avvicinarsi, questa volta. Non solo fisicamente, grazie alla scenografia che lo accoglie fin da subito in un “dietro le quinte” condiviso, ma anche emotivamente. Si entra in contatto con l’anima dell’artista, con la sua parte più fragile, vera, poetica.
Il momento più toccante? Stelle delle notti lunghe, una perla inedita ispirata a un canto partigiano albanese, accompagnata da un commovente coro di giovani artisti napoletani. Un abbraccio tra popoli, generazioni e voci che ha lasciato il teatro in silenzio, con il fiato sospeso.
E poi le canzoni che sono diventate inni personali per tanti di noi: Come Genova dal mare, Finché vita non ci separi, La strada la decido io, Un po’ di pace, 9 primavere… ognuna è risuonata come una poesia viva, resa ancora più magica da un’orchestra di tastiere, chitarre ed effetti sonori che hanno avvolto il pubblico in un vortice quasi spirituale.
Il gran finale, con Stelle cadenti e Caruso, omaggio a Napoli e ai napoletani, è stato un saluto intimo che non sapeva di addio, ma di promessa. Di quelle che si fanno tra amici che si sono detti tanto e sanno che si rivedranno presto.
«Meno male che Napoli esiste», ha dichiarato Ermal Meta dal palco. E noi, con gli occhi ancora pieni di luce, diciamo: meno male che esiste un artista che riesce a farci sentire visti, ascoltati, abbracciati. Che trasforma ogni palco in un rifugio. Che, per una sera, ci regala il privilegio di entrare nel suo camerino… e nella sua anima.