«La incontro spesso in sogno, la mia bisnonna: una donna minuta e silenziosa sulla soglia di un manicomio che sarebbe diventato un esilio, un luogo di cui avrebbe parlato con un distacco sempre più irreale fino a non nominarlo più, come accade ai ricordi che abbiamo sciupato». Nadia Terranova
L’ultimo romanzo di Nadia Terranova si intitola Quello che so di te, Ed. Guanda, Collana Narratori della Fenice, pag. 272. É tra i cinque finalisti del prestigioso Premio Strega 2025 segnalato dall’ex rettore dell’Università di Messina Salvatore Cuzzocrea con la seguente motivazione: «Ho proposto il libro per il suo grande valore letterario e per la sua capacità di affrontare temi complessi come la malattia mentale,la memoria familiare e l’identità, attraverso una scrittura intensa e commovente. Il romanzo racconta la storia di Venera, bisnonna della scrittrice e il suo internamento a Messina al Mandalari, esplorando il passato e il mistero che circonda questa figura femminile». Nadia Terranova ha precisato:” Carceri e manicomi sono la nostra falsa coscienza. Questo romanzo non è un pezzo solo della mia storia genetica e del mio immaginario: la cartella clinica della mia bisnonna è un pezzo della storia di tutti”.
Per dovere di cronaca dobbiamo dire che la scrittrice messinese che vive a Roma è già entrata nella cinquina dello Strega nel 2019 con Addio fantasmi che quell’anno fu vinto da Antonio Scurati con M. Il figlio del secolo.
Nadia Terranova di fronte alla figlia appena nata ,Luna, ha un solo desiderio ovvero quello di non impazzire. La Mitologia familiare le ha parlato della sua bisnonna che fu internata al Mandalari, il manicomio di Messina, per alcuni giorni. A questa follia la scrittrice dà un nome: Venera che si manifesta spesso nei suoi sogni come un’aliena ,una dea che non parla ma che le mostra squarci della sua vita. É ricordata come quella dal mussu cuciutu, come la scàntata, la scattiàta, la streusa ovvero la spaventata, l’agitata, la strana, che nel linguaggio medico si traduce con i termini: spsicotica, isterica e nevrastenica. Ma cosa è realmente accaduto in quel lontano 1928? Il passato non può soltanto essere sognato ma bisogna andarselo a prendere e dare risposta ad una serie di domande: quando, come e perché fu ricoverata? Quanti giorni durò la sua degenza? Quale fu il comportamento dei suoi, familiari, in particolare suo marito e le sue figlie prima e dopo il ricovero? Cosa pensa di tutto questo “la Dok” ovvero quella persona che si spaccia per esperta e con fare giudicante? Nadia riuscirà ad essere una buona madre per Luna o anche lei darà di matto?
Con una tenacia sorprendente la scrittrice inizia le sue ricerche. Va spesso a Messina, riesce ad acquisire la cartella clinica della sua bisnonna e con domande mirate ai suoi familiari ricostruisce la vita di Venera ed anche pensieri e umori. Venera è stata ricoverata in seguito ad un aborto spontaneo provocato da una caduta mentre si trovava ad assistere ad uno spettacolo circense. Vengono fuori coincidenze, date, episodi e depistaggi.
Le pagine più belle del romanzo sono quelle che riguardano la maternità sia quella di Venera che della scrittrice.
Nella nostra società c’è ancora il pregiudizio che una donna per essere tale deve generare un figlio. «Per 44 anni sono stata una donna senza figli». Così Nadia Terranova racconta di sé e prosegue: «Nullipara, non-incinta, non madre: tutti i non del dizionario dell’utero vuoto, così avrei potuto definirmi eleggendo ad unità di misura un’esperienza che il mio corpo non aveva fatto, uno stato di cui non avevo memoria, ipotesi o proiezioni. Eppure faticavo a definirmi con una lacuna: nella mia prima vita la parola madre non mi era estranea…». E fa dire a Venera rivolta alla propria madre: «Prenditi le picciridde, madre, io sono una sciagura, io sono un cancro che risale l’acqua. Non so fare niente, lasciami qua dentro. Giovanna è morta, l’ho uccisa. Non sono una madre. Non sono niente. Non chiamatemi madre».
Nadia Terranova con questo romanzo consegna ai suoi lettori una storia personale e struggente che fa riflettere con uno stile letterario bello e personalissimo.
Quello che so di te è un romanzo potente da leggere e da rileggere perché siamo certi che in ogni famiglia c’è qualcosa da esplorare e da mettere in ordine per non sciupare i ricordi.