Luca Fucci è un artista toscano conosciuto per essere il synth master di formazioni elettroniche come Interferenze. L’avanguardia è sempre stato il suo pane, anche se la sua formazione è salda nel periodo d’oro del genere, gli anni Ottanta. Ora che è uscito il suo disco Hidden Scars, “cicatrici nascoste”, ci ha incuriosito il passaggio dalla forma-canzone classica all’oscuro e interessante viaggio strumentale che ha intrapreso. E glielo abbiamo fatto spiegare.
Cosa vuol dire Hidden Scars?
«La scelta del titolo è stata molto naturale perché per me si tratta di un viaggio interiore, intimo attraverso stati d’animo, ricordi e particolari momenti, che sfiora e accarezza vere e proprie cicatrici dell’animo. La musica è servita a portarle alla luce e fotografarle.»
Che strumentazione hai usato e che ruolo ha Jac, il tuo partner professionale in altre avventure come Interferenze?
«Tutto il disco è basato sull’incontro/scontro tra il pianoforte e l’elettronica. Ho utilizzato molte drum machines e sintetizzatori analogici, vintage e non. In particolare nella creazione dei suoni ho fatto largo uso del sistema modulare in formato “Eurorack” che ho assemblato nel corso degli ultimi anni. Jac ha avuto il fondamentale ruolo di spronarmi e convincermi a pubblicare questo lavoro solista, che naturalmente è stato mixato e masterizzato presso il suo bellissimo “La Fucina Studio”.»
Perché non è uscito come Interferenze, il vostro duo di successo?
«La musica di Interferenze è il frutto dell’incontro di due anime musicali, in sintonia tra loro ma pur sempre diverse. La pubblicazione quindi di un disco solista è stata l’occasione per far emergere quella parte di me che, per forza di cose, è sempre rimasta più celata nei dischi di Interferenze. Ma non temete… A breve torneremo a lavorare insieme anche ai nuovi brani.»
Come ti sei trovato a raccontare tutto in un disco strumentale?
«Da un punto di vista strutturale, i brani cantati hanno poi una maggior propensione a seguire degli schemi canonici con le ripetizioni strofa/ritornello, mentre negli strumentali si ha la possibilità di impostare il brano più sul concetto di evoluzione più che di ripetizione.»
A chi ti ispiri oggi e chi sono stati i maestri per te?
«Non ho un punto di riferimento preciso. Tutto il mio background musicale contribuisce alle mie produzioni. Posso dire di aver approcciato il mondo dei sintetizzatori grazie a Nick Rhodes e musicalmente poi non posso non nominare band come Cure, Depeche Mode e artisti come Bowie, quel genio di Trent Reznor, ma anche Eric Satie, Morricone e Battisti.»