C’è qualcosa nella formazione abruzzese dei KEN LA FEN che somiglia ai racconti che si ascoltano da bambini, quando non si capisce tutto, ma si sente che è importante. Un non so che di epico e di scalcagnato, come se le loro canzoni fossero vecchie leggende d’Abruzzo che si sono rotte addosso a una drum machine. “Tuo Padre” — terzo tassello della loro saga trash-emozionale dopo “Mi kiamo Ken” e “Tua Madre” — non è un disco, ma un campo minato di sentimenti: esplodono la vergogna e la nostalgia, la rabbia e il desiderio, la voglia di sparire e quella di farsi vedere. La provincia è la scena e lo sfondo, il luogo dove tutto comincia e da cui si tenta sempre di scappare (o di restare per segnare delle differenze rivoluzionarie). E i KEN LA FEN in fondo lo fanno: rileggono la provincia e i loro personaggi con occhi nuovi, con parole nuove, con una poetica che trasforma il banale in sacro, e il grottesco in confessione. Un pop emozionale, psichedelico, lisergico, un pop di costume dal piglio trash…
Le maschere, i travestimenti… sono modi per scappare dalla realtà o cosa?
Più che per scappare dalla realtà noi li percepiamo come degli espedienti per immergersi in più realtà. E’ un modo per aprire dei canali comunicativi con sè stessi, esplorando un altro io e metterlo in scena davanti al pubblico.
Possiamo dire, per restare sul tema, che l’identità dei Ken La Fen è allegorica, non “terrena”, di un altro modo di stare al mondo?
Assolutamente si, Ken la Fen è allegorico, metaforico e iperbolico. E’ un nuovo canale per mezzo del quale riusciamo a stare al mondo, un’estensione della nostra identità che prende forma sul palco, nella rappresentazione meta teatrale che diamo alla nostra musica.
Il suono e la forma canzone? Alla fine però questi sono ingredienti molto in linea con tutti non trovate? Mi sarei attesa una trasgressione maggiore in questo senso…
L’idea del progetto Ken la Fen nasce dopo le primissime canzoni, quindi spostare il focus in un’altra direzione sarebbe stato semplicemente snaturante. Il fatto che possa prendere una deriva più trasgressiva o assumere una forma diversa dalla forma canzone, siamo sicuri che possa succedere qualora le necessità espressive cambieranno.
Le maschere in scena? Si arricchiscono anche di oggetti e di recitazioni?
Certo, le maschere in scena si arricchiscono di feticci e di momenti che scavalcano la mera riproduzione di un brano dal vivo. La recitazione e l’improvvisazione si aggiungono al mondo srutturato del semplice suonare e cantare. Per noi è importante far passare dei messaggi, e se questi hanno bisogno di essere sottolineati attraverso altre forme comunicative non esitiamo a servircene.
Le allegorie e gli eccessi oggi che viviamo in un tempo in cui tutto è spettacolarizzato: avete mai pensato che forse tutto questo non raggiunge più l’effetto che avrebbe fatto magari negli anni ’90?
Forse si ma il nostro obiettivo non è raggiungere un effetto sorprendente che possa stupire chi ascolta e guarda i nostri show, bensì cercare di viverci l’arte in maniera più libera possibile e restituire qualcosa di gradevole e che possa far riflettere. Anche perché pensare di poter stupire oggigiorno è davvero difficile, con tutto quello che esiste già e che viene continuamente sperimentato… sarebbe presuntuoso e demodè