Elena Radonicich è Eva Kofler, la PM che stiamo apprezzando ogni lunedì su Rai1 e in esclusiva su RaiPlay nella serie televisiva Brennero, una coproduzione Rai Fiction e Cross Productions diretta da Davide Marengo e Giuseppe Bonito. Per l’occasione abbiamo scambiato quattro chiacchiere con l’attrice, la quale, oltre a raccontarci la sua esperienza in questa serie, ci ha parlato anche di altri progetti che la vedranno impegnata nel prossimo futuro.
Sei la protagonista della serie tv Brennero, in quattro puntate, in onda su Rai 1. Raccontaci del tuo personaggio Eva Kofler?
«Eva Kofler è un Sostituto Procuratore della Procura di Bolzano, apparentemente una donna senza problemi, perché ha alle spalle una famiglia solida, benestante, con un padre che ha assunto un ruolo importante, infatti è stato Procuratore Capo ed un marito in vista, in città. Eva, quindi, appartiene alla categoria delle persone vincenti. Invece, è una donna con molto della sua vita irrisolta, una donna che si è instradata da presto in binari che non ha scelto. Ed è una persona che inizia un processo di autodeterminazione, che la porterà a svelarsi, a scoprirsi per quella che è in realtà. Il suo è un processo doloroso, perché conoscere se stessi, soprattutto, se si è stati a lungo addormentati, può essere molto difficile. E l’occasione le arriva con questo caso del mostro di Bolzano, che torna a colpire in città. Il caso le viene affidato in maniera piuttosto inaspettata, perché non è una persona molto stimata. Ed invece lei grazie a questo caso, si accende dentro un istinto, che si trasforma in un’ossessione e diventa il gancio per iniziare questo percorso e lo fa tramite l’incontro con l’Ispettore Paolo Costa, interpretato da Matteo Martari, che condivide questa ossessione e che diventa uno specchio, che permette a queste due persone, molto distanti di incontrarsi».
E sarà l’incontro con questa persona totalmente opposta caratterialmente a far emergere e far conoscere la realtà sul tuo personaggio.
«Eva e Paolo sono i due protagonisti di questa storia e rappresentano in maniera iconografica le due parti di questa storia, che si svolge a Bolzano e racconta conflitti e difficoltà di un’integrazione e la grande quantità di pregiudizi che si annidano in una società che è composta da cittadini di cultura tedesca e di lingua tedesca e cittadini di cultura italiana e lingua italiana. Eva Kofler è di origine e lingua tedesca invece Paolo è italiano, quindi, c’è una danza di stereotipi e si cerca di distruggere questi stereotipi. Loro in qualche modo rappresentano quello che sullo sfondo accade nella storia. Paolo ed Eva sono incuriositi l’uno dall’altro, ma al tempo stesso diffidenti, e con il tempo si capiscono ed imparano a conoscersi, distruggendo, così, quei pregiudizi che pensavano di non avere. Poiché rappresentano essi stessi quegli stereotipi che generano pregiudizi. Entrambi, infatti, sono cresciuti in una realtà in cui esistono difficoltà di integrazione e che poi sono la base del giallo che si andrà a raccontare. Infatti, il mostro di Bolzano è un italiano che uccide i tedeschi, per ragioni legate alla vendetta, per ingiustizie sociali avvenute nel passato. Quindi, questa storia di difficoltà e di integrazione si ripercuote nella vita cittadina e in loro due».
Quando ti hanno proposto il tuo ruolo ed hai letto la sceneggiatura, cosa ti ha spinta e motivata ad interpretare Eva Kofler?
«Il percorso di autodeterminazione di questo personaggio mi sembrava interessante, perché partiva da un pregiudizio su di sé, un pregiudizio non negativo. Lei viene considerata meno di quello che è, ma comunque vive una realtà positiva, non è una persona sfortunata, nonostante abbia dei drammi interiori. Eva ha bisogno di emanciparsi da qualcosa, dall’amore paterno, ma che è anche un amore positivo. Mi interessava l’idea che questo personaggio dovesse emanciparsi, fare un processo di autodeterminazione, allontanandosi dal padre e continuando ad amarlo, anzi proteggendolo. Eva inizia un processo di autodeterminazione in età adulta, una persona inquadrata e da cui gli altri si aspettano già qualcosa. Mi ha affascinato, inoltre, il fatto che la serie rappresenti lo spettro dell’idea del pregiudizio che si dirama in molte direzioni all’interno dei personaggi e nella storia. E nella serie il pregiudizio viene ribaltato continuamente, lasciando allo spettatore la possibilità di cambiare punti di vista, osservando che basta mettersi nei panni degli altri e riflettere su quanti pregiudizi esistono, di quanti pregiudizi siamo vittime e quanti pregiudizi produciamo».
Come ti sei avvicinata al personaggio di Eva così diverso da te?
«Non ragiono mai in termini di distanza dal personaggio, a meno che non esistano realtà spaventose. La distanza che esiste tra me ed Eva non è difficile da colmare con l’empatia e la sceneggiatura offriva molti spunti per la comprensione di questo personaggio. Entrare nei suoi panni, capirla non è stato un lavoro difficile, poiché le sue ragioni sono quelle di una donna, che certamente ha un percorso diverso dal mio, ma che non è diametralmente opposto. Il mio compito era quello di cercare una forma apparentemente impeccabile dentro la quale inserire una serie di fragilità, di goffaggine, di inettitudine, di inesperienza. Eva si ritrova spesso ad avere reazioni emotive che non sa gestire, ad avere bisogno di nascondere certe emozioni e frustrazioni. È inesperta, con una grande fragilità e si esprime con la sua goffaggine, ma al tempo stesso è una donna realizzata».
Solitamente ami rivedere un progetto in cui hai lavorato?
«Normalmente non mi piace rivedermi insieme agli altri, ma di vedermi da sola e accettarmi. Devo dire che a volte non mi rivedo, a volte studio quello che ho fatto, a volte lo rivedo dopo un po’ di tempo. L’unica regola che permane è quella di non vedere per la prima volta una cosa insieme alle persone con cui ho lavorato, perché rimango perplessa o perché devo ancora elaborare le emozioni. Brennero l’ho vista ed ero contenta, ho riconosciuto il nostro sforzo ed ho potuto notare la grande maestria dei due registi Davide Marengo e di Giuseppe Bonito, che hanno dato una splendida forma a questa serie, con una cifra estetica che la caratterizza in maniera chiara, all’interno del panorama delle serie tv e che ha dato un sapore particolare. E questa è la prima volta che mi vedo nel ruolo da protagonista, non mi era mai capitato, quindi, è stato piacevole».
La tua carriera è iniziata frequentando il Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. Qual è stata la motivazione che ti ha fatto intraprendere la strada della recitazione?
«Mi diverte moltissimo, come un gioco che si fa da bambini. Mi permette di farmi delle domande, di restare in bilico, mi consente di non trovare una posizione comoda. Sapere di dover sempre cambiare, di mettersi in discussione. Sto imparando man mano di mantenere protetta la mia indole, al netto di tutti i compromessi che si fanno, anche umani, come il dover andare d’accordo con persone che non andresti mai d’accordo e mantenere lo spazio creativo protetto, perché l’attore non crea lo spazio, ma lo abita e lo creano altre persone. E se le altre persone non lo generano è veramente difficile proteggersi. Ed io ho imparato a proteggermi».
Ti è mai capitato di lavorare in un ambiente tossico?
«Mi è capitato, ma non molto spesso, per fortuna. Mi è capitato ed ho fatto guscio. Non si smette mai di interrogarsi su quale sarebbe stata la strategia migliore, perché non è facile però si fa guscio, per proteggere il desiderio di fare questo lavoro».
Quali sono i tuoi prossimi progetti?
«Alla Festa del Cinema di Roma presenteremo il film “Berlinguer- La grande ambizione”, il nuovo film di Andrea Segre, che parla di un momento della vita politica e personale di Berlinguer, interpretato da Elio Germano ed io interpreto la moglie Letizia Laurenti ed è un progetto che aspetto con profondo entusiasmo. E poi dovremmo presentare anche il film di Elisabetta Sgarbi dal titolo L’isola degli idealisti a cui ho preso parte questo inverno insieme a Tommaso Ragno, un film appassionato. Il mio ruolo che viene definito “un topo d’albergo”, è quello di una ladra».
Hai altri progetti che vorresti realizzare?
«Osservo quello che mi capita e cerco di sentire che cosa mi risuona. Ci sono delle cose che potrebbero accadere, ma ancora non ho stabilito quali, perché voglio sentire una risonanza. Voglio sentire di dare un valore aggiunto a quello che faccio, sentire di appartenere ad una storia, ad un gruppo di lavoro, di esserci e di ossessionarmi per qualcosa, l’ossessione e ciò che mi accomuna al personaggio di Eva Kofler, e l’ossessione svela la passione».