«Leggere Donato Carrisi è come andare in paradiso». Ken Follett
Il maestro italiano del thriller Donato Carrisi è stato ospite di Connessioni, evento on line organizzato da Cosmopolimedia Libreria Ubik di Como per presentare il suo ultimo romanzo dal titolo Io sono l’abisso, pag. 384, Ed. Longanesi.
Nella prima di copertina si legge: «Sono le cinque meno dieci esatte, il lago si intravede all’orizzonte: è una lunga linea di garfite, nera e argento. L’uomo che pulisce sta per iniziare la giornata scandita dalla raccolta della spazzatura. Non prova ribrezzo per il suo lavoro, anzi: sa che è necessario. E sa che è proprio in ciò che le persone gettano via che si celano i più profondi segreti. E lui sa interpretarli. E sa anche come usarli. Perché anche lui nasconde un segreto…».
Noi di Mydreams abbiamo seguito l’incontro. Numerose le domande rivolte all’autore.
Come si potrebbe definire la paura?
«È difficile da definire la paura. Un giorno lessi su una maglietta di una bambina una frase che mi colpì e che forse offre una buona definizione: non sai cosa è la paura fino a che non senti un colpo di tosse provenire da sotto al tuo letto. La paura deve generare un’emozione ed è l’inchiostro in cui intingo la penna per scrivere le mie storie».
Pensa che la minaccia viene da fuori o è già dentro di noi?
«Io nel libro faccio una domanda inquietante: siamo veramente soli quando siamo soli? Ecco quindi che un’eventuale minaccia si annida già dentro di noi ed anche i pericoli e gli ostacoli maggiori crescono dentro di noi. Voltaire sosteneva che la paura segue il crimine ed è la sua stessa punizione».
Il romanzo è ambientato a Como. Questa scelta è stata dettata da suggestioni letterarie oppure liberamente?
«Como è un luogo tranquillo e i serial killer preferiscono i posti tranquilli, normali, poco affollati e poco chiassosi. Prima di scrivere ho intervistato numerosi abitanti di Como per farmi descrivere un po’ l’ambiente e la loro vita. Il lago, a differenza del mare è sempre uguale a se stesso, una profonda distesa di acqua dolce ma che viene attraversato in profondità da correnti ribelli. Questo mi ha affascinato moltissimo. Il lago di Como è vivo, ti parla, ti manda dei messaggi se tu lo ascolti con la dovuta attenzione».
Da dove attinge Donato Carrisi per scrivere le sue storie?
«Al termine del romanzo scrivo: le storie di questa storia sono ispirate a fatti realmente accaduti. Io racconto sempre delle storie reali. Questo romanzo è duro, spietato, ti entra nel cuore. È una storia anche di sentimenti e per questo coinvolgente. Anche un serial killer può avere dentro di sé una luce. Inoltre io leggo tantissimo, sono onnivoro e vorace. Io consiglio di leggere almeno 30 libri ogni anno affidandomi ai miei amici librai in carne ed ossa».
I coprotagonisti della storia non vengono mai chiamati con il loro nome perché? Possiamo considerare protagonisti del romanzo anche il lago,il caso ed il passato?
«Tutti i personaggi dovevano avere un nome ma poi ho pensato che questo compito spettasse al lettore. Il lago, il caso ed il passato sono personaggi del romanzo. Del lago abbiamo parlato in precedenza, il passato ha un che di oleoso che continua ad appiccicarsi anche sul presente e addirittura sul futuro. Ma siamo sicuri che il caso esista veramente? Le vite di tutti i personaggi sono intrecciate».
Quale è il suo metodo di scrittura?
«Inizio da una sorta di sceneggiatura. Scrivo per immagini e poi costruisco su il romanzo».
I rapporti genitori-figli sono spesso molto conflittuali e possono generare comportamenti distruttivi. Il male può essere generato dalla famiglia? Si può spezzare questa catena?
«Io mi sono laureato con una tesi riguardante i killer, in particolare Chiatti, il mostro di Foligno che uccise due bambini. Leggendo le carte processuali egli parlava di tutto ma non della sua infanzia. Poi ho capito perché. Era un predestinato a diventare malvagio perché qualcuno della sua famiglia lo aveva spinto. Quindi la famiglia è determinante. Per spezzare questa catena di violenza c’è bisogno di una grande forza di volontà. Ci si può emancipare mediante la cultura che ha una funzione rieducativa».
Un prossimo romanzo potrebbe essere ambientato a Taranto?
«Non credo perché è una città molto solare ed un serial killer sarebbe poco credibile in quel contesto. Dovremmo trasferire la parte Vecchia,l’Ilva e il tutto in Norvegia».
Lei esorcizza la paura scrivendo?
«Non sempre ma forse la risposta più sincera è questa: io coltivo le mie paure altrimenti non potrei riportarle sulla carta».
Qual è lo stato di salute del genere thriller in Italia?
«Penso di essere l’unico in Italia, in questo momento e sono stanco di esserlo. Senza Umberto Eco ed il suo Il nome della rosa non poteva nascere il fenomeno Dan Brown con Il codice da Vinci. Ma io sono grato particolarmente a Giorgio Faletti e al suo romanzo Io uccido che mi ha preparato il terreno. Vendo anche all’estero e penso che siamo vittime di un certo provincialismo».
Cosa pensa del genere noir?
«Il noir si basa sui personaggi e spesso può cadere nel genere melò. Le storie nere sono radicate nell’immaginario collettivo e possiamo parlare di noir da Camilleri».
Per Togliatti si dovevano bandire i libri gialli e per Andreotti il neorealismo non permetteva di lavare i panni sporchi in famiglia. Cosa ne pensa?
«È difficile trovare un equilibrio tra questi due schieramenti . Questa battaglia è ancora molto forte,molto sentita in Italia. Basti pensare che alcuni generi vengono banditi anche dai premi letterari. Mi stupisce ancora il fatto di aver vinto un David di Donatello per il film La ragazza nella nebbia».
Tornerà in un prossimo romanzo il personaggio Marcus?
«Non credo. Devo trovare una storia efficace per inserirlo. Non mi piace e non sarebbe onesto nei confronti dei lettori scrivere una serie con gli stessi personaggi non supportati da una storia originale . Penso che il tempo a nostra disposizione sia scaduto e vi voglio bene dal profondo del mio cuore nero. Saluto in particolare i fan de La setta delle sette. Spero di incontrarvi tutti dal vivo la prossima volta. Sarà che mi chiamo Carrisi ma quando saluto con il gomito penso a Romina Power ed al suo Ballo del qua qua».