In scena, al Teatro San Ferdinando di Napoli, Le Anime Morte ovvero Le (Dis)Avventure di un Onesto Truffatore, libero adattamento dal romanzo di Gogol’ di Peppino Mazzotta in collaborazione con Igor Esposito, con Federico Vanni, Milvia Marigliano, Gennaro Apicella, Raffaele Ausiello, Gennaro Di Biase, Salvatore D’Onofrio, Antonio Marfella, Alfonso Postiglione, Luciano Saltarelli, per la regia di Peppino Mazzotta; una co-produzione dei Teatri Stabili Nazionali di Napoli e del Veneto (repliche fino a domenica 13 aprile).
La prima edizione de Le Anime Morte è datata 1842, ma l’opera sembra adattarsi perfettamente al nostro presente. Infatti, è un classico della letteratura che continua a parlarci anche perché, in materia di imbroglioni, corruttela e avidità, nulla sembra essere mai cambiato, nei quasi due secoli che ci separano. L’eroe del romanzo Gogoliano è un certo Pavel Ivànovic Cicikov, funzionario pubblico ritenuto un uomo virtuoso dai più, in realtà un vero mascalzone, un burocrate truffaldino che sembra tratto dalla peggiore cronaca politica e giudiziaria della nostra attualità. Egli è animato da una forza che lo spinge verso la scalata sociale e lo obbliga a un pellegrinaggio infinito. Un uomo che non è ostacolato da alcuno scrupolo o etico. Le anime morte del titolo erano i servi della gleba deceduti tra un censimento e l’altro, per i quali i proprietari continuavano a pagare la tassa governativa, nell’attesa del conteggio successivo che ne avrebbe ratificato l’effettiva dipartita. Il furbo Cicikov escogita un piano per ricavare un suo personale profitto da questa faglia nel sistema. Alleggerendo magnanimamente dell’inutile e gravosa tassa alcuni stolidi e avidi proprietari, entra in possesso di un cospicuo numero di morti, censiti come vivi, con l’intento di ipotecarli presso l’Ufficio di Tutela ed estorcere, in cambio, una grossa somma di denaro. Una sorta di falso in bilancio ante litteram.
«Questa simpatica canaglia – spiga Mazzotta – è il bisturi con cui Gogol’ fa l’autopsia all’umanità, in una prospettiva di redenzione progressiva che resterà, purtroppo, solo nelle intenzioni dell’autore. Delle tre parti di cui doveva comporsi il suo poema, secondo il modello della Divina Commedia, l’unica integra è la prima, di cui si occupa questo allestimento, nella quale viene descritta la dimensione morale più bassa. Nel mettere in atto questo suo proposito, l’eroe gogoliano compie un viaggio picaresco nei gironi di un inferno fatto di debilitante quotidianità, popolata da morti-viventi attaccati alla roba più che alla vita, senza alcuna prospettiva universale. Gogol’ ci offre, così, una tragicomica e grottesca galleria di personaggi straordinari con un’intera tavolozza di vizi e meschinità che sono manna per la scena.»
Peppino Mazzotta si dimostra regista di grande talento. Nel volgere in dramma questo caposaldo della letteratura mondiale, sceglie le parti narrativamente più rilevanti, costruendo situazioni fortemente “teatrali” dove la tensione drammatica cresce di pari passo al disvelamento delle meschinità dei personaggi. Il tutto offrendo un quadro desolatamente aderente alla realtà (di ieri come di oggi), senza però rinunciare ad accenti più propriamente farseschi e paradossali. Non solo. Avvalendosi delle scene di Fabrizio Comparone, dei costumi di Eleonora Rossi, delle luci di Cesare Accetta (con contributi digitali di Antonio Farina), nonché delle suggestive musiche di Massimo Cordovani, crea uno spettacolo esteticamente molto raffinato, di come se ne vedono pochi, il cui ritmo risulta agile e sostenuto. La compagnia di ottimi attori che impersona questo manipolo di corrotti e corruttori, avidi e ipocriti è stupendamente diretta e fa sì che non una sola battuta del testo si perda. Tra tutti, ricordiamo Federico Vanni (Cicikov), Milvia Marigliano (Korobocka), Gennaro Di Biase (il gustoso servo Selifan, una sorta di Sganarello del Don Giovanni) e Alfonso Postiglione (Sobakevic).
Spettacolo entusiasmante. Durata: due ore, senza intervallo.
Foto di Ivan Nocera